“Fresca profonda verde foresta. La luce vi è mite, delicatissima, il cielo pare infinitamente lontano; è deliziosa la freschezza dell’aria; in fondo al burrone canta il torrente; sotto le felci canta il ruscello […] Si ascende sempre, fra il silenzio, fra la boscaglia fitta, per un’ampia via […] Tacciono le voci umane … Non v’è che questa foresta, immensa, sconfinata: solo quest’alta vegetazione esiste. Siamo lontani per centinaia di miglia dall’abitato: forse il mondo è morto dietro di noi. Ma ad un tratto, tra la taciturnità serena di questa boscaglia, un che di bianco traspare tra le altezze dei faggi. Questa è Ferdinandea”.
Così la scrittrice Matilde Serao descrive sulle colonne del Corriere di Roma del 19 settembre 1886 il suo arrivo nella tenuta che, per primo, re Ferdinando IV di Borbone diede incarico di realizzare nel cuore delle Serre calabre. Un luogo che chi, come me, è cresciuto nella ridente cittadina di Serra San Bruno serba nel cuore con affetto e un pizzico di rimpianto. Per cosa? Forse per quel che poteva essere e non è stato. Il prosieguo di un’avanguardia siderurgica, idroelettrica e boschiva che la lungimiranza borbonica, in pieno Settecento, impiantò nel cuore rigoglioso di un’area vergine. La tappa di un itinerario storico-naturalistico ancora più fruito, integrato e valorizzato di quanto già non sia quello inscritto nel lodevole Ecomuseo delle Ferriere e Fonderie di Calabria, nel Parco Naturale Regionale delle Serre.
Oltre i ruderi dell’archeologia industriale, i rampicanti, il mezzo busto eroso di colui che nel 1833 inaugurò la fonderia, Ferdinando II delle Due Sicilie (in omaggio al quale l’intera tenuta prese il nome di “Ferdinandea”); oltre al passaggio di proprietà al garibaldino Achille Fazzari, che si atteggiava a ospite mondano dell’intellighenzia dell’epoca, salvo dissipare quanto avuto tra le mani, incluso lo stesso impianto, cui fece chiudere i battenti nel 1881; oltre le iniziative volte a ridargli lustro, questo luogo sembra offrire ancora suggestioni e pagine inedite da scrivere, accanto a quelle recenti, pubblicate da attenti giornalisti e autori locali, e quelle passate, che nomi come Serao consegnarono alle cronache di una narrazione parzialmente dimenticata.
La scrittrice vi arrivò viaggiando lungo la prima linea ferrovia d’Italia, la Napoli-Portici inaugurata nel 1839, i cui binari erano stati forgiati proprio nelle fonderie della Ferdinandea, su invito del Fazzari, ex deputato del Regno, che della tenuta aveva fatto una dimora monumentale, all’interno della quale riceveva le più illustri personalità del tempo, facendo sfoggio delle sue collezioni d’arte e di archeologia. Arrivata sulla costa ionica proseguì in carrozza, come lei stessa racconta nell’articolo citato, annotando le impressioni scaturite dall’osservazione dei paesaggi e dei volti femminili che la scrutavano confidando di restare non visti, assicurati alla penombra domestica:
“Si traversa Stilo: le calabresi dal volto pallido vi guardano senza curiosità da dietro piccoli vetri delle loro finestre. La vegetazione poi diventa sempre montanara e si gira sui fianchi della montagna, ora seppellendosi fra gli alberi, ora rasentando un precipizio spaventoso. Qui e là spunta la roccia, nuda, nera, ciclopica”.
Impressioni vivide nell’animo di Serao che, all’epoca trentenne, si era concessa il lusso del soggiorno “ferdinandeo” esattamente un anno dopo il matrimonio con Edoardo Scarfoglio, poeta, scrittore e giornalista col quale sugellò una fortunata unione professionale oltre che sentimentale, fondando il Corriere di Roma, sul quale pubblicò la dedica ai boschi delle Serre, confluito poi nel Corriere di Napoli, alias Il Mattino (1892).
La scrittrice di origine greca, che per ben sei volte sfiorò il Nobel per la Letteratura senza mai conquistarlo, trascorse nella dimora del Fazzari una villeggiatura memorabile, che andava ricercando da tempo, nel segno di una solitudine creativa e rigenerante. Verosimile credere che, all’indirizzo del suo ospite, Serao abbia goduto di salubri passeggiate tra i boschi, rinfrescate dall’acqua oligominerale della Fonte di Mangiatorella, che lo stesso Fazzari imbottiglierà e metterà in commercio a partire dal 1904; così come avrà tratto piacere dalla lettura dei preziosi volumi custoditi nella biblioteca della quale il generale garibaldino andava fiero.
Non vi sarà altra eco di Ferdinandea nella sua produzione futura. Al rientro dalle Calabrie e per gli anni a seguire, Matilde Serao, che già aveva dato alle stampe il suo capolavoro, Il ventre di Napoli (1884), si dedicherà a pieno ritmo all’attività giornalistica, chiamando a collaborare con la testata che dirigeva alcune tra le penne più prestigiose del tempo, tra le quali Gabriele D’Annunzio.
(Foto copertina dal sito bivongitheristis.altervista.org)