L’insostenibile leggerezza del leggere

Considero la retorica uno dei mali più subdoli di questo nostro tempo, così politicamente corretto così umanamente devastato. Tra i vari campi in cui la si esercita non è esente quello letterario, anzi, ricorre con costanza con tormentoni quali: in Italia si legge poco, in alcune regioni quasi niente (la mia Calabria è una rassegnata Cenerentola), ci sono più scrittori che lettori, poveri editori alla canna del gas e via di questo passo.

Senza scomodare Julien Gracq, che già negli anni ’50 pubblicava un pamphlet al vetriolo sui rischi di un sistema editoriale malato, sul quale grava una bella fetta della responsabilità di ciò che mi appresto a dire – tanto più che all’epoca del suo graffiante La Littérature à l’estomac non c’era ancora lo sfacelo social, bookbloggeristico, marchettaro né la pratica autoerotica di autopubblicarsi – il solo fatto che il mercato editoriale campi facendosi pagare da “autori non scrittori”, esiga quantità a scapito della qualità, abbia accentrato la distribuzione nelle mani di due o tre colossi egemonici, che siano venuti meno i luoghi fisici del fare letteratura e pensiero critico e, non da ultimo, che l’intero circo equestre sia retto da imprenditori, burocrati e gente che mastica soldi e politica ma non libri, ecco, alla luce di ciò, ritengo che leggere bene in luogo del leggere tanto sia un atto di consapevolezza e maturità culturale.

Occhio a non fraintendere! Inutile dire che leggere bene e tanto, assieme, è la massima aspirazione. Non mi si costringa a citare Eco e i bla-bla-bla sull’importanza della lettura. Superiamo l’ovvietà. Proviamo piuttosto a entrare nel merito del cosa e del come anziché enumerare il quanto; proviamo a capire se c’è – dove, in quali forme – una differenza tra gli appassionati lettori di manga o di vecchi elenchi telefonici, col rispetto dovuto a entrambi i generi letterari, e coloro che in un anno hanno letto “solo” Musil.

Ecco, credo che la differenza stia tutta qui. Credo sia giunto il momento di formare buoni lettori, perché è vero che leggere è un piacere e apre nuovi mondi, ma è altrettanto vero che a leggere si impara forse più che a scrivere (da qui l’inutilità di corsi e “scuole” di scrittura, da abolire per legge!). Come ogni attività umana la lettura comporta pratica, affinamento, educazione al gusto e alla scelta in una progressione qualitativa che porta con sé anche quella quantitativa. Leggere come vero e proprio talento da coltivare: saper riconoscere una cattiva lettura e abbandonarla al suo destino, prendere con le pinze i recensori di copertine, i circoli dei clientes e, perché no, i grandi premi telefonati. Insomma, saper dire a testa alta “non l’ho letto e non mi piace!”.    

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