Amore e rivolta. Guerriglia e baci caldi a lenire le ferite dell’anima e del corpo.
Ho paura torero (Marcos y Marcos, 2004) è il piccolo gioiello col quale Pedro Lemebel ci introduce all’universo esoterico, passionale, ironico e, infine, drammatico della “Fata dell’angolo”, un travestito dal cuore romantico, che adora cantare, e s’innamora perdutamente del virile e coraggioso rivoluzionario Carlos.
“Rinunciare alla vita e non morire, questo è amore, non quello che c’è in te”.
Siamo nella Santiago del Cile del 1986, in piena dittatura Pinochet. Il giovane Carlos sta cercando un rifugio per le riunioni clandestine, e lo trova nel posto più insospettabile del mondo: la caleidoscopica soffitta della Fata, un nido di piume di boa e cuscini di raso fucsia. L’amore incondizionato della Fata copre tutto, nega l’evidenza, e si staglia generoso e audace contro la brutalità del regime, che fa da controcanto – attraverso le istantanee del Generale e della First Lady – alla loro storia indecente e delicata, tragica e comica, cinematografica.
“E come sempre la Fata lo sorprese con la sua allucinata fantasia barocca. Con la sua capacità di abbellire anche il momento più insignificante. E si fermò a osservarla sbalordito, stesa sopra una roccia, con la tovaglia annodata al collo, come un mantello popolato di angeli… Perché il giorno svaniva in fretta e non ci sarebbe stata una seconda opportunità per correggerlo”.
Lemebel ci racconta di Carlos e della Fata mescolando poesia e oscenità, dando vita a una sequenza di immagini struggenti e beffarde, che ricordano lo stile del miglior Almodóvar. E il sipario si chiude con un velo d’amarezza:
“Il tuo silenzio è una verità crudele, ma è anche una risposta sincera. Non dire nulla, perché tutto è chiaro”.