Parole in viaggio

Qualche settimana fa, il Venerdì di Repubblica si accompagnava a un inserto diverso dai soliti: sulla copertina, una madre africana stringeva al petto il suo neonato addormentato; sotto, il titolo Parole in viaggio. Sfogliandolo, scopro con sorpresa che è una raccolta di scritti brevi, semplici pagine di diario o veri e propri racconti, realizzati da cinque scrittrici italiane per AMREF, nell’ambito del progetto “Stand Up for African Mothers”: come evitare alle donne africane di trovare la morte nel dare la vita.

La raccolta è firmata da penne davvero toste, che non si limitano a poetare dalle poltrone di casa loro sulla fame nel mondo e la mortalità neonatale, ma si mettono in viaggio e in gioco in prima persona, alla volta delle regioni orientali del Continente Nero, per tracciare una rotta d’inchiostro che guidi le parole di chi non ha voce alle nostre orecchie indifferenti.

 

Tanzania, Concita De Gregorio: “Il dolore sta sempre lì, è come la scorza di un frutto: la devi rompere, rovesciare così, con due mani, e se non è troppo né troppo tardi – se non è acerbo, ma nemmeno marcio – se lo fai al momento giusto, insomma, esce fuori tutta intera la polpa da mangiare, che è dolce. Però deve essere il suo momento, è molto importante. Trovare il momento giusto è sempre la cosa più importante. A me è successo da vecchia, a 45 anni. Dopo tutte le malattie le morti la solitudine, proprio quando sono rimasta da sola che sembrava che non potesse succedere più nulla ho rotto il frutto, un giorno. E ho conosciuto qualcosa che non sapevo esistesse, che non avevo nemmeno nominato mai perché questa parola, felice, nel mio villaggio non c’è. Non la dice nessuno, mai, quindi non c’è. L’ho imparata qui quando sono venuta al centro per le donne sieropositive, dopo che mi hanno chiesto di provare a ballare”.

Uganda, Claudia de Lillo (Elasti): “Mi sveglio sotto una zanzariera. Ripenso alle centinaia di bambini che corrono sul ciglio della strada e alla jeep che non rallenta mai. Mi faccio una doccia fredda sotto la luce di un neon. Penso ad Atim, senza forze per andare al pozzo, che usa un buco nella terra rossa, come gabinetto, e ha voragini nell’anima che non si chiuderanno più. «Hai solo tre figli?». Già, solo tre. E pensare che mia madre mi considera una pazza, affetta da maternità compulsiva e iperbolica. Qui, invece, di figli, ne arrivano, uno, due, sei, dieci. Arrivano perché nessuno fa nulla per impedirlo, perché la contraccezione è una pratica osteggiata, spesso clandestina, un problema solo di donne, in un paese dove comandano gli uomini”.

Kenya, Clara Sereni: “Nell’aereo di ritorno, pieno come un uovo, ho accanto a me una keniana imponente, la cui mole massiccia mi renderà più scomodo il viaggio. Respiriamo la stessa aria stantia, ed è solo accettando il contatto con il suo corpo, i suoi bisogni in lotta ma anche in comunicazione con i miei, che riuscirò a dormire qualche ora, a prendere fiato per il dopo: scomode, ingombranti, diverse come siamo noi, donne di tutto il mondo, che solo tutte insieme possiamo provare a salvarlo, a costruire una prospettiva per un “dopo” che è già qui”.

Etiopia, Paola Soriga: “Strada con intorno erba gialla e acacie, terra rossa o nera di vulcano, piccole scimmie curiose, pozze d’acqua circondate da bambini e bestiame. Sono contenta di vedere dove è cresciuta, la mia amica nuova che sto per salutare. Contenta anche di andarmene da Semera, questa città nuova, in mezzo alla Rift Valley, là dove hanno trovato Lucy, l’ominide che ci ha partorito tutti”.

Tanzania, Chiara Valerio: “Le viene in mente che nella luce, ci sono tanti colori, e che qui, in questo ospedale di case basse, poco più che capanne di mattoni cotti e tetti di lamiera, con i bagni alla turca, impastati di polvere rossa, qui nascere ed essere avvolti in mezzo ai colori, ridefinisce il significato di “venire alla luce”.

A Natale dell’anno scorso Radio 3 ha proposto i cinque racconti attraverso le voci di altrettante donne (Mannoia, Bergamasco, Ceccarelli, Cortellesi e Dandini) e quest’anno il progetto si è ampliato, aprendosi al punto di vista maschile di tre scrittori (Nori, Covatta e Rossi Marcelli) che hanno percorso altre strade d’Africa e le hanno raccontate tra il 24 e il 26 Dicembre.

 

Mi piace sognare che il nuovo anno, nel mio piccolo futuro da aspirante scrittrice, abbia in serbo anche per me un itinerario così significativo di “parole in viaggio”…

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