Oltre le siepi

È il primo romanzo che ho letto “da adulta”, mettendo da parte (solo per un po’) Le mille e una notte e le storie fantastiche di Jule Verne. Il buio oltre la siepe, romanzo del 1960 valso a Harper Lee il Premio Pulitzer, raccontava una storia delicata e commovente attraverso la voce di una ragazzina, Scout, che nell’immaginario dell’epoca era mia coetanea. Mi stava simpatica e non mi sarebbe dispiaciuto condividere con lei, suo fratello Jem e il nuovo arrivato Dill l’avventura di quella strana estate in cui tutto cambiò.

 

“Quasi tutte le persone sono simpatiche quando si riescono a capire”.

 

Mi aveva conquistata fin dalle prime battute, così come non avevo saputo resistere al fascino dei nomi pittoreschi, spruzzati di classicità, che si alternavano in quelle pagine avvincenti. Atticus, il padre sensibile, l’avvocato “dei negri” che si batteva per assicurare giustizia a un innocente la cui unica colpa era per l’appunto il colore della pelle, in uno spicchio d’America ancora molto lontana dal miraggio di Obama. E che dire di Calpurnia? Come non amare la dolce domestica che si prendeva cura di loro?

Ero rapita dalla presenza misteriosa, in principio inquietante, di Boo Radley. Immaginavo di passare davanti alla sua casa e trovare anch’io un regalo inaspettato nel tronco di quel vecchio albero: un piccolo tesoro di riconoscenza e amicizia. La forza della fragilità.

Come sempre accade quando una storia prende vita in un libro e ci trascina con sé, anch’io mi ritrovai in un balzo “oltre la siepe” che ci separa dall’ignoto, imparando, anche grazie a questo splendido romanzo, a scrutare le profondità del buio che ci circonda in cerca della luce, a oltrepassare le barricate del pre-giudizio e del pre-concetto per arricchirmi di nuove verità.

To Kill a Mockingbird, il titolo originale, significa letteralmente “uccidere un usignolo”. Chi mai potrebbe compiere un’azione tanto cruenta e immotivata? Come potrebbe la Giustizia di Stato ordinare la morte di un innocente solo perché “diverso”?

 

“Preferirei che sparaste ai barattoli in cortile, ma so già che andrete dietro agli uccelli. […] ma ricordatevi che è peccato uccidere un usignolo. – Era la prima volta che udivo Atticus dire che era peccato fare una data cosa, così andai a informarmi da miss Maudie. – Tuo padre ha ragione – disse. – Gli usignoli non fanno niente di speciale, ma fa piacere sentirli cinguettare. Non mangiano le sementi dei giardini, non fanno il nido nelle madie; non fanno proprio niente, solo cinguettano. Per questo è peccato uccidere un usignolo”.

 

Dal romanzo fu tratto l’omonimo film del 1962, vincitore di tre premi Oscar, interpretato da Gregory Peck. Non nascondo che vedrei con piacere un remake in chiave più attuale, con Whoopi Goldberg nei panni di Calpurnia. Forse il mondo del Cinema ci farà un pensierino.

Grazie Harper Lee per avermi insegnato a guardare oltre le siepi!

 

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