Luoghi inesistenti e dove trovarli

È nel cartone animato di Walt Disney, Le avventure di Peter Pan, che viene aggiunta la fatidica “seconda stella a destra” quale indicazione per raggiungere l’Isola che non c’è, concepita dalla fantasia di Sir James Matthew Barrie (1911). La stessa rotta che più tardi avrebbe fatto la fortuna di Edoardo Bennato e che noi stessi seguiremo in questo surreale viaggio verso il non esserci.

Non esserci o meglio, per citare il genio di Julio Cortázar, “non esserci del tutto in una qualsiasi delle strutture, delle ragnatele che prepara la vita e in cui siamo alternativamente ragno e mosca”.

In che misura è possibile ridurre l’isola inesistente o il senso del “non esserci del tutto” a semplici metafore e viaggi utopici? Forse che in questa dimensione onirica, interstizio tra realtà e immaginazione, è possibile far scivolare qualcosa di tangibile, che esista a prescindere dal campo limitato dei nostri sensi? 

Dopo aver macinato le Lezioni americane di Calvino, le sinestesie di Rimbaud, il gioco degli specchi di Lewis Carroll e Alice, il “realismo magico” di Borges e i recenti “cronorifugi” di Georgi Gospodinov, per restare alla sola letteratura, la risposta non può che essere affermativa.

Proviamo a fare una passeggiata tra Le città invisibili (1972) del maestro Calvino…

Isaura, città dai mille pozzi, si presume sorga sopra un profondo lago sotterraneo. Dappertutto gli abitanti, scavando nella terra lunghi buchi verticali, sono riusciti a tirar su dell’acqua, fin là e non oltre si è estesa la città: il suo perimetro verdeggiante ripete quello delle rive buie del lago sepolto, un paesaggio invisibile condiziona quello visibile, tutto ciò che si muove al sole è spinto dall’onda che batte chiusa sotto il cielo calcareo della roccia”.

E poi, ancora, Despina, che si raggiunge per mare e per cammello offrendo punti di vista diametralmente opposti; e che dire della città di Zirma, dove…

I viaggiatori tornano con ricordi ben distinti: un negro cieco che grida nella folla, un pazzo che si sporge dal cornicione d’un grattacielo, una ragazza che passeggia con un puma legato al guinzaglio. […] La città è ridondante: si ripete perché qualcosa arrivi a fissarsi nella mente”.

Tutto questo ci è familiare, al pari di quanto potremmo apprendere o favoleggiare su Casablanca, Parigi e Nuova Deli, tanto da esclamare “Questo luogo l’ho già… letto da qualche parte!”.

Nulla è più vivido e reale di quanto non esiste, poiché non essendo potrebbe essere ovunque e, a dire il vero, non è escluso che lo sia.

Di fatti, sull’isola di Minorca esiste un albergo i cui interni ricostruiscono per filo e per segno le descrizioni degli spazi calviniani. Non è l’unico caso di luogo fisico nato dalla forza dell’immaginazione. Il mio preferito, ad esempio, è Il Museo dell’Innocenza di Istanbul, sorto parafrasando l’omonimo capolavoro dello scrittore turco Orhan Pamuk: una collezione di ossessioni amorose coltivate nel tempo, cresciuta a colpi di struggimento.

Oggetti grandi e piccoli che nel mostrarsi rivelano la sacralità di un reliquiario e la potenza di qualcosa che, suo malgrado, è appena sfuggita al regno dell’inesistente per collocarsi in una teca illuminata.

Bacheche di ninnoli, biglie di vetro colorato, orologi fermi in un tempo eterno, modellini di automobili fuori commercio, figurine, scatole di cipria intonse, foto sbiadite, gomme per cancellare, un pettinino per capelli, una spilla da balia, un francobollo. Un campionario dell’inutile essenziale, che serve a eternare un istante: “il momento più felice della vita”.

È questo il meccanismo che consente a ogni opera d’arte e di intelletto di staccarsi dall’Empireo che l’ha concepita e assumere i contorni di uno spaccato storico, culturale e sensoriale a tutti gli effetti. Spingendo il concetto all’estremo, potremmo affermare che noi stessi siamo parte della proiezione e che esistiamo anche in virtù di questa: il reale è finzione e la finzione è reale.

Non è forse vero che alcuni personaggi della letteratura ci sono talmente familiari da avere la sensazione di conoscerli in carne e ossa? Quante volte, per strada, siamo stati sfiorati dal passaggio di Emma Bovary, il commissario Maigret, Dorian Gray e Anna Karenina?   

Lo stesso dicasi per i luoghi. Calzante è la definizione di “fantastico figurale” che Erich Auerbach attribuisce, ad esempio, agli spazi danteschi della Divina Commedia, approfondendo il concetto nel suo Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale. Tra le pagine immortali della letteratura e dell’arte nascono e muoiono cosmogonie, luoghi santi e dannati, luoghi comuni.

Quanti Aldilà hanno prodotto i testi della letteratura sacra di ogni tempo e cultura? Ce li prefiguriamo nei minimi dettagli, pregando di andarci a consumare il sonno eterno o, al contrario, di non finire mai tra i loro caroselli maledetti, frutto di menti timorate e della fatica degli amanuensi sugli antichi bestiari.      

Dalla notte dei tempi l’uomo crea spazi inesistenti per amplificare quelli esistenti e allontanare la morte. Non a caso il Medioevo, devastato da piaghe pestifere, fu tutto un fiorire di terre e isole dell’immaginario.

Esiste un intero Isolario arabo medievale (2015) dato alle stampe per Adelphi da Angelo Arioli – ordinario di Letteratura Araba a La Sapienza e già autore di Le città memorabili. Labirinto arabo medievale (2003) – che è un vero e proprio atlante di arcipelaghi di carta nati dalla fantasia di alcuni tra i principali cantori arabi del Medioevo, i cui nocchieri nulla hanno da invidiare a un Odisseo d’Occidente né a un moderno Corto Maltese.

Oltre queste isole, fuori delle rotte, stanno monti disabitati, ove, si dice, ci sono minerali d’argento. Non ogni naviglio che lo desideri vi giunge dacché solo uno di quei monti, detto Buonnome, segnala gli altri. […] Così, nel mare innumerevoli sono le isole interdette sconosciute ai marinai. E ve ne sono di impossibili”.

(Mercante Sulaymān, Lasciando le Andamān).    

I geografi dell’assurdo hanno aperto spazi a Oriente come a Occidente, tracciando nei secoli le coordinate di un vero e proprio universo parallelo che, bene o male, tutti conosciamo, nel quale abbiamo imparato a muoverci con disinvoltura, poiché per varcarne i confini non sono necessari lasciapassare, patenti speciali e neppure un particolare senso dell’orientamento.

Le strade sono lastricate di pietre preziose e tutti i bisogni materiali sono appagati, a El Dorado gli uomini vivono in pace tra loro godendosi la vita”.

Così ingolosisce Voltaire in Candido (1759), alludendo al vagheggiato paradiso terrestre delle Americhe, di cinquecentesca memoria.

Infine, da brava figlia di Calabria, mi corre l’obbligo di citare La città del Sole (1602) del filosofo Tommaso Campanella, originario di Stilo, borgo in provincia di Reggio Calabria da cui prese piede un’utopia che qualcuno provò a replicare in terra, in forma di numerose “città ideali” o di fondazione.

La città di Campanella svetta in cima a un colle, è di forma circolare, cinta da sette mura che corrispondono ai sette pianeti, numerologia che la rende di fatto inespugnabile. Vi si accede attraverso quattro porte collocate in corrispondenza dei punti cardinali. Sull’acropoli sorge il Tempio del Sole, ancora una volta circolare, sorretto da grandi colonne a sostegno di una cupola che riproduce la sfera celeste.

I “solari” non conoscono egoismi, né sfruttamento né ingiustizie, poiché retti unicamente dalle Virtù…

L’ottima repubblica è quella dove ciascuno è eletto a fare quello officio al quale è nato, perché allora regge la ragione. Pessima è dove fa officio contra quello pel che è nato, perché la regge il caso. Mista è dove in parte fanno l’officio secondo la natura et in parte non, perché regge la ragione e il caso insieme”.     

Labile è il confine tra ciò che esiste e ciò che non esiste. La letteratura, l’arte in generale, servono ad assottigliarlo ancora un poco e rendere fluido questo scambio tra ciò che è materia e ciò che materia non è, ma che pure abita le profondità delle nostre cellule.

Cos’è il senso del fantastico? Un insieme di relazioni e mondi aperti, interscambiabili. Una formula che moltiplica l’esistente o, come dice ancora Cortázar, “un sentimento di malinconia per qualcosa che non è mai stato”.

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