C’è uno spartiacque nella Storia con la “S” maiuscola e in quella creativa e culturale del nostro Paese. Un momento al quale nessuno avrebbe dato credito, poiché si usciva da un baratro nero di morte e povertà, più tetro di quel Medioevo così ingiustamente bistrattato, che di per sé ha fatto luce ed è stato retroterra del Rinascimento. Ecco, mi piace definire questo spartiacque una sorta di “Secondo Rinascimento” italiano. Questo fu il nostro Secondo Dopoguerra. Uno stato di grazia.
Sono sufficienti tre nomi del panorama letterario, una tripletta di centenari da “chapeau”, a darci la profondità, il calibro, di quella migliore gioventù: Sciascia (1921), Pasolini (1922), Calvino (1923). Nel 1957 a vincere il Premio Strega fu L’isola di Arturo, di Elsa Morante, lo Scrittore, così amava essere chiamata, migliore di tutti i tempi (aggiungo io). Vogliamo sporgere il naso oltre i libri? Facciamolo senza timore di smentita. Siamo nel pieno di un dialogo critico, interscambio, sinestesia tra le arti, da quelle più impegnate a quelle fuori dagli schemi, tanto che leggendo i versi che Pasolini dedica al quadro Pausa dal lavoro (1945), di Renato Guttuso, le forme della tela si traspongono su carta:
“[…] le carni umiliate/fanno ombra: e lo scomposto ordine/dei bianchi è fedelmente seguito/dai neri. Il mezzogiorno è di pace”.
Cosa fu il Neorealismo se non il nostro Secondo Rinascimento? Un altro centenario, quello di Ugo Tognazzi (1922), ci rimanda al linguaggio del grande schermo. Qui, ancora una volta, il genio degli scrittori si intreccia a quello di registi e interpreti inarrivati. L’idea di queste righe mi è venuta proprio al cinema, qualche settimana fa, rapita dall’omaggio di Tornatore a Ennio Morricone (1928). Il pensiero mi sfiorava, cullato dall’oboe mistico che il Maestro pennellò sul tema principale di Mission. Tra i protagonisti del Secondo Rinascimento, Morricone partì in sordina, come la sua tromba d’infanzia, per poi orchestrare qualcosa di inedito, mai sentito né realizzato prima: la Musica per il Cinema, ovvero la composizione post-lirica del Novecento.
E noi? Cosa ha da dire oggi la nostra cultura “masticaesputa”? In questo tempo di mezzo, nel pieno della “grande regressione” pre e intra-bellica, nella quale si esercitano con disinvoltura la brutalità e la rozzezza, qualcuno sceglie di restare in vigile attesa e guardare oltre, a un auspicabile terzo tempo: il Terzo Dopoguerra. L’Umanesimo dopo la tempesta.
In copertina “Il Caffè Greco”, di Renato Guttuso.