L’ultimo Natale dei Lambert

“Un fronte freddo autunnale arrivava rabbioso dalla prateria. Qualcosa di terribile stava per accadere, lo si sentiva nell’aria. Il sole era basso nel cielo, una stella minore, un astro morente. Raffiche su raffiche di entropia. Alberi irrequieti, temperature in diminuzione, l’intera religione settentrionale delle cose era giunta al termine”.

 

L’incipit apocalittico de Le Correzioni, celebre e pluripremiato romanzo di Jhonatan Franzen, è un allerta immediato per il lettore, come a dire: Attento! Stai per essere risucchiato in una dimensione oscura e destabilizzante, nel gorgo inarrestabile di una realtà illusoria, senza scampo. E la “minaccia” è più che mai fondata.

Il vento freddo del Midwest annuncia ai Lambert l’approssimarsi di un Natale memorabile. Un ultimo Natale tutti insieme, come un tempo, come quando era ancora possibile riunirsi attorno al rassicurante focolare americano del dopoguerra e inscenare la pantomima borghese delle tradizioni e delle “buone consuetudini”. Ma la realtà è lontana anni luce dall’atmosfera ovattata dei cortili innevati e agghindati a festa: gli anziani coniugi, Enid e Alfred, galleggiano come pesi morti (su una nave da crociera senza ritorno) su ciò che resta del loro infelice e logoro matrimonio – lui, negando la malattia che lo imprigiona in una demenza senza dignità; lei, aggrappandosi all’illusione che “prima o poi, tutto si aggiusterà” – mentre i tre figli, fuggiti il più lontano possibile dalle “correzioni” e dalle “istruzioni” tendenti al “buono” e al “giusto”, vivono a loro volta il fallimento quotidiano delle proprie ambizioni e dei rispettivi rapporti umani.

L’Autore ci guida nel disfacimento inesorabile della coppia, della famiglia, di un mondo – di noi stessi – intrecciando in modo disinvolto la narrazione incalzante del presente al filo dei ricordi. Lo fa con singolare maestria, con temperamento cinico, lucido e un umorismo che riesce a sciogliere e far ingoiare anche i bocconi più amari, i passaggi attraverso i quali è proprio impossibile non rispecchiarsi con onestà.

 

“La correzione, quando alla fine arrivò, non fu lo scoppio improvviso di una bolla di sapone, ma un lento declino […] Enid trovava che in genere, al giorno d’oggi, gli eventi fossero più smorzati o insipidi di quando era giovane. […] Vedeva tutto con maggiore chiarezza adesso, soprattutto i suoi figli. Quando Gary tornò a St. Jude con Jonah qualche mese dopo quel catastrofico Natale, Enid si divertì senza problemi”.

 

Un doloroso “Canto di Natale” che, tuttavia, nel finale assume il tono liberatorio e salvifico di un “canto del cigno”: l’uccello muto, incapace per tutta la vita di emettere suoni, che nell’istante che precede la morte intona, inspiegabilmente, un canto struggente e sublime.

 

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