Possono la scrittura e gli scrittori fare luce sul tempo presente? Possono, per contro, suggerire forme di evasione da questo stesso tempo, sollevando lo sguardo su dimensioni altre? In entrambi i casi la risposta è affermativa ed è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno.
L’anno appena iniziato, gonfio di aspettative come un palloncino sulla punta di un ago, ci costringe a fare i conti con ricorrenze letterarie di tutto rispetto, oltre che con gli auspici di fine pandemia, scenario distopico che neppure il miglior Orwell avrebbe saputo immaginare.
Eppure, questo più di ogni altro è il tempo della scrittura. Se non ora quando – per citare Levi – occorre impugnarla come arma contro la perdita di noi stessi? Sì, perché la scrittura che produce letteratura, non soltanto mera narrazione, ha il potere di incidere sulla realtà smascherandone le contraddizioni, i falsi miti, rivoltandola come un calzino per poi riscriverla con parole nuove, delle quali siamo a corto.
Ecco perché questo tempo che a ogni livello – nell’istruzione, nel lavoro, nel dibattito pubblico e nella prospettiva – ha barattato l’umanesimo con l’empirismo; la democrazia con la tecnocrazia; le relazioni coi loro surrogati, questo tempo che Musil definirebbe di “qualità senza l’uomo” deve essere più che mai il tempo della Scrittura.
Ne parlo su Mimì, inserto culturale nazionale del Quotidiano del Sud – L’Altra voce dell’Italia.