Franco Battiato, l’ultimo sufi d’Occidente

Sul fatto che il Maestro Franco BATTIATO, esattamente come canta in Vite parallele – mi si consenta l’uso del tempo verbale presente, riferito a chi è immortale – sia “sbucato da qualche parte, aggiungendo stella a stella, toccando l’infinito con le mani” non vi è ombra di dubbio. Casomai, L’ombra della luce, per dirla ancora citando uno dei suoi brani a me più cari.

L’ombra della luce, ossimoro apparente ripreso in altre forme del suo poetare – come quando a sua volta allude al Maestro (probabilmente il filosofo armeno Gurdjieff) che insegna “com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire” (in Prospettiva Nevski) – è il brano che vanta la meravigliosa versione in arabo che Battiato regalò a noi tutti dal palcoscenico inusuale di Baghdad, in occasione del concerto del 4 dicembre 1992, al Teatro Nazionale Iracheno.

La luce della nascita e della ri-nascita è accostata all’oscurità della morte come un continuum, due aspetti che sono parti intrinseche dell’essere e del non essere, fino al punto in cui il secondo è con-facente il primo e viceversa.

A quale repertorio mistico, filosofico, teologico attinge il compositore catanese, che dalla sua casa alle pendici dell’Etna ha sempre tratto una scintilla della propria energia vitale?

Occorre guardare a Oriente e al mondo arabo, quello del sufismo in particolare, per cogliere almeno in parte i riferimenti e le suggestioni che, pur affondando in Verità mistiche inarrivabili, sono state tradotte al grande pubblico con un linguaggio musicale fresco, a tratti sperimentale, che non esitiamo a definire “pop” nel senso più generoso del termine.

Scoprii per primi i mistici indiani: Yogananda, Aurobindo. Poi sono passato al buddhismo, ai sufi, e soprattutto, fondamentale, al sistema di Gurdjieff. Maestri ne ho avuti tanti. Tra i nostri occidentali Santa Teresa D’Avila, Giovanni della Croce e poi tutti i padri del deserto, Sant’Agostino. Ho iniziato da autodidatta. Ho imparato a ordinare il disordine, a non disperdermi”.

(Da un’Intervista a Gianfranco Bertagni)

Tanti maestri lungo la Via, sino a diventarlo lui stesso in modo più o meno volontario, insegnando a chi lo ascolta senza che questi ne sia pienamente consapevole.  

Al centro della vita e delle opere di Battiato la spiritualità sufi intessuta all’arte, alla musica e alla cultura “tradizionale” intesa, se vogliamo, come conservazione della specie umana nella propria umanità. Sul cammino percorso dal cantautore ci si imbatte spesso in saggi e dervisci danzanti (Voglio vederti danzare), creature mistiche, di puro spirito, che giungono a illuminarci ed elevarci dalla miseria del mondo sensibile fine a se stesso.

Durante un incontro che il Maestro tenne anni fa col suo pubblico calabrese, dichiarò:

“Non ho attinto dalla musica orientale, ho piuttosto mutuato da quella cultura un atteggiamento intimo, molto diverso da quello tipico della musica occidentale”.

Una Verità rivelata, verrebbe da dire a proposito dei suoi testi e delle musiche mai casuali che li accompagnano, poiché la coscienza del divino (che è in noi, così come noi siamo in Lui) parte dalla semplice intuizione per poi compiersi, al termine del percorso iniziatico, nella comprensione ultima. Un concetto complesso racchiuso nell’immediata semplicità dei versi di E ti vengo a cercare, vera e propria preghiera d’amore mistico in stile sufi:

“Questo sentimento popolare nasce da meccaniche divine. Un rapimento mistico e sensuale mi imprigiona a te”.  

Caro Franco, sei andato restando, lo sappiamo. Ti sei semplicemente spostato altrove, per questo continueremo a ringraziarti di aver attraversato con noi, illuminandolo con la luce musicale dell’eternità, il nostro spicchio arido di Occidente.

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