Dodici storie dal Vicino Oriente

“Tutto, avevano occupato tutto… […] Non c’erano più le case, le strade, la moschea, il cimitero: era tutto sparito, capisce? […] La maggior parte di noi pensava di vivere una situazione assurda, da un momento all’altro sarebbe successo qualcosa che avrebbe riportato tutto alla normalità. […] Forse perché ero giovane, o forse solamente per intuito, o magari me lo disse qualcuno: so di avere capito allora che avevamo perduto tutto. Che non saremmo tornati mai più. E così è stato…”.

(da “Il muratore palestinese”)

“A NaJaf c’erano sciiti e sunniti, insieme. Lì imparavi a capire che non è nella dottrina che queste correnti di pensiero si dividono; c’erano differenze, naturalmente, ma c’era anche moltissimo che si aveva in comune e questo essere vicini giorno per giorno, talora a pregare negli stessi luoghi o semplicemente a studiare o ascoltare mi fece capire quanto sia artificiosa questa divisione che attraversa la nostra fede. […] È una divisione sfruttata da alcuni uomini per affermarsi o per imporre il proprio potere, non ha nulla a che fare con l’Islam. […] Essere fratelli di fede o esserlo nell’umanità: che differenza c’è? Quando la persona vicina a noi diventa una persona che conosciamo non si riesce più ad averne paura, a vederla come nemico. Se gli uomini riescono a parlarsi, anche di piccole cose, anche di cose molto semplici, non possono non vedere la loro stessa umanità riflessa nell’altro”.

(da “Lo sceicco sciita”)

“Allora mi trovo a pensare che in questa terra, che di difetti ne ha tanti e certo non è perfetta, Aleppo e Damasco, la Siria sono in qualche modo un’eccezione. Forse perché nessuno è siriano e tutti vengono da qualche altra parte, forse perché in questi luoghi sono avvenute in passato così tante persecuzioni che oggi nessuno ne ha più nemmeno voglia. Forse perché ognuno è debole e tutti sono, in definitiva, minoranza, sembra quasi che finisca col prevalere sempre una sorta di consapevole accettazione. Arrivarono gli armeni, poi noi palestinesi, oggi i curdi, domani chissà chi altri. La Siria e le sue città perdono per un poco il loro equilibrio, si riorganizzano, apparentemente cambiano. Poi, dopo qualche decennio, resta il ricordo di un passato viaggio. Di un arrivo in questa terra da una nazione perduta. Ma non è più sofferenza, come lo è oggi per me, bensì ricordo stemperato e quasi dolce”.

(da “La ragazza armena”)

 

I brani riportati sono tratti da Il minareto di Gesù, piacevolissima raccolta di storie vere, “catturate” da Stefano Cammelli, storico contemporaneista, nel corso dei suoi viaggi in Siria. Dodici testimonianze di vita che scorrono al ritmo autentico – talvolta colloquiale, talvolta più raffinato – degli intervistati, offrendo uno spaccato del Vicino Oriente oggettivo, vibrante, mai contaminato da sovrastrutture o retropensieri devianti.

Dodici voci provenienti da orizzonti storico-culturali e religiosi molto diversi, rappresentativi della straordinaria ricchezza e complessità umana del mondo arabo-islamico (ascoltiamo la storia del tessitore curdo, del vescovo caldeo, dell’ufficiale druso …), eppure, così unanimi nell’esprimere un sentimento forte e condiviso, che alla fine del libro sembra quasi di sentirle convergere in un unico messaggio, capace di raggiungere le nostre “orecchie da mercanti” occidentali in modo semplice e cristallino: i confini e le barriere (fisiche, etniche, religiose) che dividono e destabilizzano questa regione del mondo, la cui vera ricchezza risiede proprio nella sua millenaria stratificazione culturale, non sono altro che il frutto artificioso e scellerato di spartizioni decise “a tavolino”.

 

Il minareto di Gesù, S. Cammelli
Il minareto di Gesù, S. Cammelli

 

Loading...