Dante, Maometto e l’ascesa ai Cieli

Sul finire di un anno denso di ricorrenze letterarie, i 700 dell’Alighieri inducono a un’ultima ma stuzzicante riflessione sulla Commedia e l’universo magmatico, multiculturale e mediterraneo, al quale il Sommo attinse a piene mani.

Difficile aggiungere qualcosa che non sia stato scritto, detto o fantasticato, eppure… l’esortazione “O voi ch’avete li ‘ntelletti sani, mirate la dottrina che s’asconde, sotto ‘l velame de li versi strani” (Inferno, IX, 61-63) suona come un invito a sollevare più volte il velo dell’essoterico per contemplare quanto di più esoterico “s’asconde”.

Non è un caso che tra le opere del grande intellettuale francese René Guénon figuri L’esoterismo di Dante quale testo cruciale per venire a capo della “dottrina” veicolata dalla Divina Commedia all’indirizzo esclusivo, come è ovvio che fosse, degli “’ntelletti sani” dell’epoca, capaci di decriptarne il messaggio.

Qual è questo messaggio? Credo di poterlo esporre senza incappare, a mia volta, in accuse di eresia o blasfemia, poiché il “Mediterraneo e dintorni” nel quale viaggiavano all’epoca di Dante tutta una serie di dottrine finissime, filosofie e simbologie dovrebbe essere ancora oggi terreno comune di riflessione culturale e elevazione spirituale.

Che il viaggio attraverso i tre regni dell’aldilà sia un viaggio iniziatico (con riferimento alla Trinità massonica anglosassone) è evidente anche a chi è poco “illuminato”; che tale viaggio ricalchi pari pari quello compiuto dal profeta Muḥammad (Maometto) nel suo volo notturno in groppa al cavallo alato e che identica sia pure l’architettura del mondo ultraterreno è forse cosa meno nota, di sicuro poco percepibile oltre il “velame”.

“Lode a colui il quale trasportò il suo servo, di notte, dal tempio sacro al tempio più remoto, del quale benedicemmo il recinto, per mostrare a lui alcuni dei nostri segni”.

(Corano, primo verso Sura XVII, La Sura del Viaggio Notturno)

L’esperienza compiuta in vita (e qui sta il nocciolo!) da Maometto si accompagna, in arabo, alle parole isrāʾ e miʿrāj, che indicano il miracoloso Viaggio Notturno in sella al cavallo alato Burāq (Isrāʾ) e l’ascesa ai Sette Cieli (Miʿrāj), tra visioni infernali e delizie paradisiache, fino all’incontro con Dio.

Cosa c’entra il viaggio islamico con quello dantesco e fino a che punto i due mondi siano confluiti in una visione univoca, capace di oltrepassare le sponde medievali del Mediterraneo è presto detto.

La storia del Viaggio Notturno approdò nelle terre prima arabe e poi cristiane di al-Andalus (attuale Andalusia) in volgare proto-spagnolo, per essere poi tradotta nelle lingue neolatine sotto il nome di Libro della Scala (ovvero, della “scalata” ai Sette Cieli).

È verosimile che l’Alighieri, conoscitore dell’Islam come ogni intellettuale del suo pari, sia venuto in contatto con la versione del Liber Scalae di Bonaventura da Siena; che in tale versione abbia apprezzato l’azzardo attorno a cui ruota il senso ultimo dell’opera, base per una scomunica (altro che esilio!): la possibilità di “vedere Dio” in vita a compimento di un percorso di iniziazione, negata dal cattolicesimo di Tommaso d’Aquino ma accolta dalla filosofia di Averroè.

Che Dante fosse estimatore del commento su Aristotele di Averroè è provato dalla presenza del filosofo islamico nel suo poema, collocato nel Limbo insieme con Avicenna e il Saladino. Averroista è dunque l’essenza intima della Divina Commedia e il viaggio di Dante nell’aldilà, come ebbe il coraggio di affermare per la prima volta lo studioso gesuita Miguel Asín Palacios nell’opera La escatología musulmana en la Divina Comedia (1919).

Del resto, Dante stesso ci esorta a una lettura esoterica e stratiforme della sua opera: dalla struttura topografico-concettuale dei Sette Cieli alla numerologia esoterica del 3, che si compie nel 99, ovvero nel numero degli attributi divini, i “Nomi di Dio” secondo l’Islam.

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