Toya e la narrativa araba contemporanea

La storia che lo scrittore egiziano Ashraf al-Ashmawy consegna alle stampe italiane per Francesco Brioschi Editore è una storia di opportunità. Lo è nell’accezione più alta, richiamando il sofisticato gioco del fato in virtù del quale la vita di ciascuno si incammina per una via piuttosto che per un’altra.

Il termine che in arabo classico si avvicina di più al significato che noialtri attribuiamo alla parola “destino” è مَصِير (masir), benché nella cultura arabo-islamica il suo senso raggiunga profondità ancora più insondabili che nella nostra.    

Fino a che punto il disegno superiore, l’equilibrio cosmico, Dio o chi per lui interseca il nostro agire in facoltà di libero arbitrio? L’uno esclude categoricamente l’altro, oppure sono facce di una stessa imponderabile medaglia?

Questo è l’interrogativo che attraversa la mente del giovane protagonista mezzosangue, Yussef Naghib, come tutti lo conoscono in Egitto, dove è cresciuto col padre dopo la separazione dei genitori; alias Joe, come invece preferisce la sua inglesissima madre, che lo vorrebbe medico a Liverpool e marito della facoltosa Katherine, fidanzata a intermittenza tra un viaggio e l’altro.  

Nel corso della narrazione assistiamo all’evolversi psicologico, sentimentale ed etico di questo giovane dottorando in dermatologia sospeso tra istanze e culture contrastanti: se all’inizio lo sguardo di Yussef è rivolto a se stesso e a un orizzonte fatto di carriera, soldi e successo, col passare del tempo e delle pagine lo vediamo migrare verso ben altre latitudini.    

Un percorso costellato di incontri fatali, appunto, lo condurrà dapprima al limitare della sofferenza umana, dove le ricerche sulla lebbra nel continente africano saranno la molla in grado di tramutare la “professione” in “missione”; infine, ai limiti del suo stesso cuore, per la prima volta libero da ogni legame di convenienza, aperto al vero amore.

Quell’amore che sin da ragazzo il docile consiglio paterno gli augurava essere “Una donna, Yussef, per la quale nutri un bisogno spirituale, e che nutra per te lo stesso bisogno”. Una donna che nell’Africa profonda assumerà i lineamenti del viso di Toya.        

Ecco la sterzata improvvisa inserita da Ashraf al-Ashmawy, il cambio di programma, l’imprevisto che noi tutti crediamo accadere per la bizzarria del caso e invece viene a dirci chi siamo e dove siamo diretti.

Yussef era diretto da sempre al cuore dell’Africa più genuina e bisognosa, così come da sempre, senza riconoscerlo nei gesti scostanti che rivolgeva alla sua donna oltremare, era diretto tra le braccia di un amore totalizzante, nel bene e nel male.

Tra foreste verdeggianti, riti primordiali e tribù inaccessibili, il brillante dottore sfiderà la malattia, il proprio destino e le pieghe tragiche attraverso le quali, talvolta, si disvela il nostro altro sé.

Toya è un romanzo di formazione e di esordio, scritto da Ashraf al-Ashmawy e tradotto da Elisabetta Bartuli e Giacomo Longhi nel linguaggio fresco e poco tradizionale che gli è valso nel 2013 l’International Prize for Arabic Fiction, al netto di qualche passaggio retorico, a tratti didascalico.

Ne parlo anche su Glicine rivista

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